“Il lavoro che cambia”  I partiti politici su lavoro ed innovazione tecnologica.
“Il lavoro che cambia”  I partiti politici su lavoro ed innovazione tecnologica. 1996 – 2013

Sul sito http: termometropolitico si possono trovare un’infinità di informazioni ufficiali sui partiti politici italiani. Tra queste anche tutti i programmi elettorali (dei singoli partiti e delle coalizioni) relativi alle tornate elettorali nazionali dal 1996 al 2013. Seppur – di fatto – i programmi abbiano un valore indicativo tuttavia ripercorrerne i contenuti può risultare utile per comprendere, almeno tendenzialmente, il livello di comprensione dei mutamenti in corso e quale importanza sia stata riconosciuta a questi temi. L’escursus (strettamente ristretto ai temi di riferimento) non ha la pretesa di una analisi compiuta, ma il risultato è sicuramente significativo.

Nella tornata elettorale del 1996 Le tesi de “l’Ulivo” e Rifondazione si possono condensare come proposta di governo per un passaggio verso una necessaria indistinta modernità caratterizzata da maggiore equità sociale di un paese ancora molto arretrato. Le priorità, i temi e gli strumenti politici ed economici d’intervento, in un’ottica regolatoria, sono quelli classici. La lettura dei mutamenti in corso indotti dall’innovazione tecnologica è ancora totalmente assente. Per quanto riguarda la coalizione di centro destra, tralasciando il programma sostanzialmente regionale della Lega, si constata che il programma del Polo ignora totalmente i temi dell’innovazione tecnologica, delle sue opportunità e dei rischi. Certamente si tratta di una grave sottovalutazione; si può tuttavia ritenere che – in una visione liberista assai spinta – tali temi siano considerati dal Polo come “autonomamente gestibili” dal mercato e dunque collocabili ai margini dell’intervento politico.

Nella successiva tornata elettorale (2001) Il programma dell’Ulivo intravede alcune questioni e temi connessi all’innovazione tecnologica, ma ne ignora totalmente i rischi ed i processi profondi che la animano. L’innovazione è vissuta esclusivamente come strumento di progresso che induce dei cambiamenti nell’impresa, nel mondo e nell’organizzazione del lavoro governabili attraverso gli strumenti classici della politica e dell’economia. Tale giudizio è confermato anche dal fatto che la latente trasformazione da “cittadino” a “consumatore” seppur riconosciuta, è valutata più con interesse che con preoccupazione. Sfuggono totalmente la lettura della crescente velocità con la quale si dispiega l’innovazione tecnologica e le conseguenze negative (almeno a breve, medio termine) su tutta una serie di lavori e strati sociali. Dal programma emerge tuttavia la necessità di una maggiore flessibilità lavorativa. Sono ancora totalmente ignorati i nuovi fattori che incidono ed accelerano il processo di trasferimento della ricchezza (e di accumulazione) nelle mani di un numero sempre più ristretto di soggetti. Fattori già allora ampiamente studiati e riconosciuti in occidente come nuovi e significativamente conseguenti ai processi di automazione in atto. Nell’introduzione del programma appare il termine “New Economy”: “Siamo convinti che l’avvento delle nuove tecnologie e lo sviluppo della new economy rappresentino una grande opportunità: da sostenere e governare – per evitare che investimenti, risparmi e posti di lavoro si dissolvano in poche ore – e da mettere alla portata di tutti. Per questo insistiamo su un rapporto molto più stretto fra università, ricerca e imprese, e sul bisogno di una formazione continua – qualcosa di sostanzialmente diverso dal cursus scolastico tradizionale“. E più avanti: “Nel prossimo futuro cambierà il nostro modo di vivere, scambiare, comunicare, ma soprattutto di lavorare. In un assetto sociale sempre meno rigido, l’idea di un lavoro fisso si ridimensiona, mentre dai giovani, così come da molti anziani ancora attivi, arriva una forte richiesta di mobilità e individualizzazione. Al tempo stesso, chi opera nei settori più innovativi – e perciò meno regolati – chiede garanzie che attenuino margini di rischio in alcuni casi intollerabili. Ci troviamo quindi di fronte a una domanda composita, e alla necessità di garantire un equilibrio nuovo fra incentivazione e tutela”. Purtroppo alle pur importanti dichiarazioni di principio, che rappresentano un notevole passo avanti rispetto alle precedenti elaborazione programmatiche, non segue ancora un’adeguata e soprattutto coerente articolazione progettuale.

Nella tornata elettorale del 2006, sui temi della imperante età della tecnica, ci si aspetterebbe dall’Unione un passo avanti, una più concreta ri-elaborazione rispetto a quanto affermato nel programma del 2001. Non è così. Le innovative affermazioni del precedente programma elettorale spariscono dal testo. Rimane l’eco di quei temi non organicamente dispersi nei vari capitoli. Invece che l’urgenza di una “discontinuità” con il passato caratterizzata da nuove impostazioni programmatiche, culturali ed operative, prevale “l’urgenza” della modernizzazione del paese alla quale deve essere finalizzata l’innovazione tecnologica; impostazione questa che la dice lunga sul flop interpretativo dei fenomeni in corso da decenni. A tutti gli effetti, consapevolmente o meno, si è trattato di una vera e propria scelta di carattere conservativo che poi comporterà la sostanziale incapacità di interagire (nel bene e nel male) con i rapidissimi processi di innovazione tecnologica in atto. Trasformazioni che – nei fatti – in Italia non saranno politicamente governati da nessuno. Nella Casa delle Libertà (con un programma ridotto a scaletta di questioni) persiste l’assoluta assenza di qualsiasi riflessione sulle questioni poste dell’età della tecnica.

Nel 2008 le elezioni si svolgono in prossimità della deflagrazione della grande crisi globale. Crisi che sovrapporrà i suoi effetti (ed in parte affondava le proprie radici) nei cambiamenti provocati dell’età della Tecnica. Da una rapida lettura dei programmi politici del decennio antecedente emergono con chiarezza i gravi ritardi interpretativi e la sostanziale inadeguatezza del quadro politico Italiano a governare il cambiamento in atto e quindi ad affrontare le nuove, difficili sfide. Le conseguenze di questo stato di cose saranno la particolare debolezza del “sistema Italia” e una profonda crisi della politica e delle istituzioni. Il quadro politico si frammenta sempre di più ed i programmi divengono brochure per una rapida quanto superficiale comunicazione. In questa situazione si assiste ad una vera involuzione dei programmi elettorali sia per forma che per contenuti che nulla di sostanziale aggiungono a quanto elaborato negli anni precedenti.

Nel 2013 per la prima volta sulla scheda elettorale si trova anche il simbolo del Movimento 5 Stelle. Lo sbriciolamento di una politica in profonda crisi genera la moltiplicazione delle formazioni politiche. I programmi sono niente più che documenti notarili; contratti per tenere insieme coalizioni poco coese. La comunicazione politica si veicola con nuove forme attraverso una molteplicità di canali digitali. La coalizione “Italia Bene Comune” (composta da PD, Vendola Sinistra ecologia Libertà, PSI, Centro Democratico, SVP, PATT ed altri) si presenta con un programma comune di 9 pagine, un testo unico suddiviso in titoli, un elenco di temi tra i quali non si trova alcunché di organico sui temi specifici dell’età della tecnica. Ancora meno si trova nel programma del Polo delle Libertà. Nel programma della coalizione “Con Monti per l’Italia”, steso in 27 pagine, si trovano cenni sull’innovazione digitale della pubblica amministrazione (tema che si ritrova elencato da sempre (sic) in tutti i programmi). Più avanti, nel capitolo “Costruire un’economia sociale, di mercato dinamica e moderna” si trova un flebile richiamo alle modificazioni che stanno avvenendo nel mondo del lavoro e di seguito, seppur accennato, alla questione della redistribuzione del reddito. Sconcertante e contrariamente alle aspettative, neanche il M5S entra nel merito degli spinosi problemi connessi all’innovazione tecnologica. 10 pagine di enunciazioni con niente di organico da segnalare sui temi specifici delle prospettive e dei rischi connessi all’innovazione tecnologica. Nulla, se non sull’uso della comunicazione digitale per l’organizzazione della partecipazione e delle attività del movimento. La stessa proposta del reddito di cittadinanza, così come configurata, è sostanzialmente ancora inquadrabile nella cultura classica del contrasto alle povertà. In tutti i programmi politici, dal 1996 al 2013, c’è un punto rilevante che emerge trasversalmente ed è quello della centralità della formazione in una società “cognitiva”. L’importanza della questione è trasversalmente condivisa, ma non le strategie operative e la scuola italiana continua a rimanere nella parte finale della graduatoria dei paesi industrializzati. Dal 2013 ad oggi ci dividono cinque terribili anni di crisi e difficoltà che hanno finito con il marginalizzare le molte opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica accentuandone invece gli effetti negativi. Tutto da verificare se questi cinque anni che ci dividono dall’oggi non siano trascorsi invano e se l’attualità (pur nella sua complessità) sia in grado di invertire strutturalmente questa situazione. Comunque vada mi pare evidente che la partita sarà giocata da molti e diversi soggetti e che il ruolo della politica non potrà che risultare significativamente diverso dal passato.


by M.F.

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