La Tecnologia e la sfida dell’Occupazione. Una questione in Italia sostanzialmente non compresa.

La questione del rapporto tra innovazione tecnologica, automazione e lavoro è all’attenzione degli analisti economici da decenni. Da almeno 30 anni, ed in particolare da quando gli effetti della rivoluzione tecnologica hanno iniziato a dispiegarsi a velocità sempre crescente,  la stragrande maggioranza degli studi rilevavano il rischio (almeno a breve e medio termine) del venir meno di un numero sempre crescente di lavori. In Italia, nonostante alcuni consolidati segnali e le prime voci a riguardo, la questione è stata sostanzialmente ignorata ed ancora oggi, nella babele e nel conservatorismo dell’attuale situazione politica, nessuno sembra aver capito cosa stia effettivamente accadendo.

Eppure la discussione anche in Italia si è aperta per tempo; di seguito un interessante studio della fondazione Olivetti datato 1991 ed un articolo di Michael Spence pubblicato dal Sole 24 Ore nel 2015. I due testi (ovviamente non i soli che abbiano affrontato questi temi) distano tra di loro di ben 24 anni. Il primo analizza (oltre 1/4 di secolo fa) gli effetti della incipiente automazione nell’impresa manifatturiera italiana; è un’analisi prudente che tuttavia coglie già i termini fondamentali della questione. Il secondo (diverso per impostazione, sintetico e contemporaneo) estende quella visione. Insieme, (attraverso 25 anni di cambiamenti) descrivono il divenire della “tempesta perfetta” che si è abbattuta sulla attuale situazione occupazionale italiana (ma non solo). Interessante notare anche la diversa terminologia utilizzata.

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La Tecnologia e la sfida dell’Occupazione. Di Michael Spence da Il Sole 24 Ore Commenti ed inchieste. 5/9/2015.

Le nuove tecnologie di vario genere, insieme alla globalizzazione, influenzano potentemente le diverse opportunità lavorative delle persone dei paesi avanzati e, allo stesso modo, di coloro che vivono in realtà in via di sviluppo – per qualsiasi livello di istruzione. Le innovazioni tecnologiche non solo determinano una riduzione del numero di posti di lavoro di routine (lavori a procedura costante), ma causano anche cambiamenti nelle catene e nelle reti di approvvigionamento globali, il che comporta la rilocalizzazione dei posti di lavoro di routine – e, sempre più, dei posti di lavoro non di routine a vari livelli di specializzazione – nel settore dei beni commerciabili di molte economie.

In che modo, allora, i politici dovrebbero affrontare le nuove e difficili sfide per l’occupazione (e, quindi, per la distribuzione del reddito e della ricchezza), soprattutto nelle economie sviluppate? Da recenti ricerche, abbiamo imparato una serie di cose interessanti sulle modalità in cui l’evoluzione della struttura economica colpisce l’occupazione.

I settori commerciabili delle economie avanzate non generano aumenti reali netti dell’occupazione da almeno due decenni, mentre i posti di lavoro che hanno creato sono concentrati nelle fasce di reddito elevato e di istruzione superiore, con calo dell’occupazione nella fascia media e bassa di reddito ed istruzione. La crescita dell’occupazione in servizi destinati alla fascia alta dei consumatori è compensata dalla contrazione dei settori produttivi ad elevata intensità di occupazione delle catene di fornitura.

Fino alla crisi del 2008, la crescita dei posti di lavoro nella fascia dei redditi medio-bassi si è verificata interamente nel settore dell’economia dei beni non-commerciabili, che rappresenta circa i due terzi della produzione e dell’occupazione dei paesi avanzati. In quest’area, i redditi ed il valore aggiunto per addetto sono rimasti in gran parte fermi. I posti di lavoro avrebbero potuto essere sostituiti dalla tecnologia, ma non eliminati dalla competizione globale; e, la crescita insostenibile della domanda interna, sostenuta da un aumento del debito, ha contribuito a ritardare gli attuali disavanzi occupazionali.

Come risultato, le economie avanzate hanno perso posti di lavoro di routine a ritmo intenso, mentre hanno aumentato le occupazioni non di routine (ad esempio, quelle che non possono ancora essere sostituite o ridotte da macchine e da computer in rete). Ciò ha alimentato una formidabile crescita del rendimento di livelli di istruzione e di competenze elevati, insieme al fatto che, nei paesi avanzati, da più di due decenni, è in aumento la quota di reddito totale percepito dai proprietari di capitale e dagli impiegati di fascia alta.

La crescita e l’occupazione vanno così divergendo nei paesi avanzati. La forza cruciale alla base di questa tendenza – la tecnologia – gioca più ruoli. La sostituzione di posti di lavoro manuali tecnici da parte di macchine e robot è una tendenza potente, continua, e forse in accelerazione nei campi della produzione industriale e della logistica, mentre le reti di computer vanno sostituendo i posti di lavoro di routine dei colletti bianchi nel trattamento delle informazioni.

Parte di questo aspetto è l’automazione pura. Un’altra componente importante è la disintermediazione – l’eliminazione cioè degli intermediari nel settore bancario, nella vendita al dettaglio on-line, e in una serie di servizi pubblici, per citare solo alcune delle aree colpite.

Ma l’impatto della tecnologia non si ferma qui. La stessa classe di tecnologie informatiche che automatizzano, consentono la disintermediazione, e riducono i costi delle grandi distanze, permettono anche la costruzione di sempre più complesse e geograficamente diverse catene e reti di approvvigionamento globali.

La catena globale della fornitura – sempre in movimento, grazie alla crescita del reddito e allo spostamento dei vantaggi comparati dei paesi in via di sviluppo – colloca le attività produttive dove le risorse umane e di altro tipo rendono tali attività competitive. I collegamenti in queste catene comprendono non solo i prodotti intermedi e di assemblaggio, ma anche una gamma crescente di servizi – attività di ricerca e sviluppo, progettazione, manutenzione e supporto, il servizio clienti, i processi di business, ed altri – poiché crollano i costi di transazione, coordinamento, e comunicazione.

Il risultato è quello che a volte viene chiamato “atomizzazione” delle catene di approvvigionamento globali: suddivisioni sempre più fini sono realizzabili, più efficienti, e localizzabili quasi ovunque. La prossimità è ancora importante in termini di costi di trasporto e di logistica. Ma, con i paesi in via di sviluppo che rappresentano i nuovi mercati di maggiore ampiezza e la maggior parte della crescita della domanda mondiale, la logica che guida l’atomizzazione dovrebbe diventare ancora più interessante.

L’efficiente decomposizione in corso delle catene globali della fornitura, delle reti e dei servizi, ha due conseguenze correlate. In primo luogo, la parte commerciabile dell’economia globale – dove la concorrenza per l’attività economica e l’occupazione è diretta – sta diventando una quota maggiore del tutto; lo stesso vale per singole economie. In secondo luogo, le parti delle catene di fornitura globali che non erano competitive non sono più protette dal fatto di essere adiacenti alle parti che lo erano. Il criterio dell’adiacenza non è più un requisito.

Queste dinamiche e le sfide connesse non sono limitate ai paesi avanzati. Nel prossimo decennio, ad esempio, la Cina sostituirà gran parte dei suoi posti di lavoro nel settore dell’assemblaggio ad alta intensità occupazionale con lavoro a maggiore valore aggiunto nell’industria e nei servizi, non solo nel settore dei beni commerciabili, ma anche – cosa ancora più notevole – in quella parte non commerciabile della sua economia in rapida crescita. L’ampliamento della portata e la diminuzione dei costi dell’ automazione e della additive manufacturing (processo produttivo con aggiunta progressiva di parti di materiale) possono influenzare le funzioni ad alta intensità di lavoro a livello globale, anche nei paesi alla fase iniziale di sviluppo

Gli investimenti rappresentano un fattore nodale per l’adattamento a queste forze. Per gli individui, le imprese, le istituzioni educative, ed i governi dei paesi avanzati, sono fondamentali investimenti ad ampio raggio, ingenti ed efficienti in materia di istruzione e specializzazione. Colmare le lacune di informazione a livello di mercato per quanto riguarda le competenze aumenterebbe anche l’efficienza di tali investimenti.

Il potenziamento generalizzato del capitale umano migliorerà la distribuzione del reddito sia direttamente che indirettamente (riducendo l’offerta di bassa qualificazione dei lavoratori rispetto alla domanda). Permetterà anche (in parte) di ridurre la concentrazione della ricchezza che deriva da una distribuzione del reddito fortemente asimmetrica.

Per quanto attiene il settore commerciabile, la competitività dipende non solo dal capitale umano, ma anche da una serie di altri fattori: infrastrutture, sistemi fiscali, efficienza normativa, incertezza indotta dalla politica, costi dell’energia e della sanità.

Non vi è alcuna garanzia che muovendo nella giusta direzione in queste aree sarebbero del tutto superate le sfide che i singoli individui ed i paesi si trovano a fronteggiare, anche se intraprendere questi passi sarebbe d’aiuto. In realtà, è possibile che stiamo entrando in un periodo in cui saranno necessari rilevanti adeguamenti riguardo ai modelli occupazionali, le settimane lavorative, i contratti di lavoro, i salari minimi, e l’erogazione di servizi pubblici essenziali, al fine di mantenere la coesione sociale e sostenere i valori fondamentali di equità e di mobilità intergenerazionale.

Michael Spence, Premio Nobel per l’ economia, è Professore di Economia alla Stern School of Business della New York University e Senior Fellow della Hoover Institution.

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