Chi ha votato chi? Elezioni politiche, europee e poi?
Luoghi comuni, avanzi ideologici, false convinzioni, personalismi e spots elettorali hanno coperto quello che è stato un vero e proprio terremoto politico, riflesso del mutante quadro socio-economico italiano. Alle ultime politiche (2018) il M5S esce come vincitore indiscusso, tanto da far parlare i cronisti della politica di un nuovo bipolarismo (M5S – Lega&C.) che supera “l’antica contrapposizione” destra-sinistra. Un nuovo bipolarismo segnato dalla marginalizzazione del PD. I numeri ci dicono che l’elettorato del M5s è decisamente ed omogeneamente interclassista, leggermente accentuato nella fascia di età tra 30 e 44 anni. Quello che è particolarmente rilevante è proprio l’omogeneità della distribuzione sociale (per lavoro, funzione, sesso e formazione) dei suoi elettori. Si tratta di una tendenza che riguarda sempre di più un po’ tutti i partiti. Cioè – semplificando – finisce quella “prevalenza classista” che in passato aveva caratterizzato specialmente i partiti della sinistra. Il voto per il M5S chiama a votare il 17% degli indecisi. C’è una prevalenza di consensi al sud, ma la distribuzione territoriale del consenso è ampia ed uniforme.

Dopo quel voto l’informazione canta le future sorti magnifiche e progressive del nuovo quadro politico, del nuovo bipolarismo che avrebbe dovuto segnare il futuro dell’Italia; peccato però che solo un anno dopo cambi nuovamente tutto. Alle successive elezioni Europee (2019) è il trionfo della Lega che, se non sfonda tuttavia sicuramente vince divenendo il primo partito passando dal 17% delle precedenti politiche al 34%. Una vittoria confermata poi dalle elezioni amministrative che ribadiscono il mutato segno dei consensi e confermano tutte le difficoltà del M5S. Il 17% del cospicuo gruzzolo elettorale della Lega proviene dal M5S, il 14% da chi non aveva votato, il 10% proviene da FI. Alle europee il PD recupera a fatica una parte del suo elettorato che aveva votato M5S reggendo così l’urto dello scontro elettorale, subisce la scissione di IV attestandosi in seguito intorno ad un immobile 20%. In sostanza il consenso di circa 6 milioni di italiani transita da altri partiti verso la Lega; tra i quali l’11% del voto giovanile. Anche il voto della lega è sostanzialmente omogeneo nella sua distribuzione (per lavoro, funzione, sesso e formazione). In sintesi quattro dati a me sembrano particolarmente significativi: la Lega raccoglie il voto del 49% del mondo operaio (+29%); la Lega non è il partito degli “ignoranti” raccogliendo il consenso del 24% dei laureati, in questo superata di poco solo dal PD con il suo 27%; la Lega guadagna il 17% del voto femminile proveniente dal M5S che ne perde il 14%. Il PD recupera il 9% dal mondo delle povertà, la Lega il 18% mentre il M5S ne perde il 14%. Fare il paragone tra due elezioni così diverse può apparire anche improprio, tuttavia le tendenze dei flussi sono sostanzialmente assai chiare e, per quello che può valere, confermate dai successivi sondaggi.

Da questi numeri gli elementi che più spiccano sono la liquidità del voto (da tempo in atto ed ora dirompente) ed un nuovo diffuso “interclassismo intrapartitico” relativamente facile da tenere insieme dall’opposizione, ma difficile da governare quando si ricoprono ruoli di governo senza disporre di abbondanti risorse finanziarie pubbliche da distribuire. Nel contesto odierno a Salvini va riconosciuto il “merito” – oltre quello di saper praticare una spregiudicata e rozza politica della comunicazione – di aver saputo proiettare una forte immagine di opposizione anche quando ha governato.

Quello dipinto dai flussi elettorali è un quadro segnato dalla sfiducia e dalla ricerca di soluzioni comprensibili e facili anche se sostanzialmente illusorie; da estese paure causate da un mondo in rapido cambiamento e da un conseguente senso di insicurezza sociale. I fattori unificanti del nuovo interclassismo sono l’impoverimento di larghe fasce sociali che estende a dismisura le diseguaglianze generate anche da uno smisurato accentramento della ricchezza e l’incertezza del lavoro (caratterizzata da un drammatico indebolimento di una contrattazione spesso ridotta a livello individuale) che proietta un’ombra oscura sul futuro di milioni di persone ed in particolare dei giovani. In questa fase la pervasiva innovazione tecnologica (motore in gran parte incompreso del cambiamento e della globalizzazione) nei grandi numeri non viene sempre vissuta come opportunità, ma piuttosto come esteso fattore di esclusione lavorativa, culturale (difficoltà a leggere i cambiamenti) e soprattutto sociale. I fattori storici di debolezza strutturale del paese (burocrazia, collusioni, clientelismo, debito pubblico, enorme evasione fiscale, blocco dell’ascensore sociale e sistema scolastico arretrato) fanno il resto dando vita ad un mix tanto instabile quanto esplosivo.

Nonostante la fluidità della situazione l’antica contrapposizione destra – sinistra è ancora viva, con tutte le sue diversità, sfumature e convergenze; si tratta di un antagonismo purtroppo ben evidenziato anche da come è stata differentemente gestita l’epidemia del coronavirus nel mondo; gestione caratterizzata dal drammatico dualismo (economia o vite umane?). Due visioni, storie e culture a confronto che, in particolare in occidente, oggi assumono da una parte i caratteri del sovranismo (sempre più spesso nazionalismo che tende all’autoritarismo) e dell’altra quello della liberal/social democrazia. Quella stessa liberal democrazia che ha dato vita al progetto europeo (carico di buoni principi civili) e che poi però non è stata ancora in grado di portare a compimento (per incomprensione della posta in gioco, egoismi, piccoli e grandi nazionalismi e convenienze varie). Mentre il sovranismo non ha bisogno di confrontarsi con i cambiamenti se non per negarli o additarli come improbabili complotti, la liberal democrazia ha mostrato un grave ritardo ad interpretare, a proporre politiche adeguate, a promuovere le opportunità e mitigarne i peggiori effetti che, almeno a breve e medio termine, sembrano essere strutturali più che collaterali. Quando la politica non riesce più a leggere la realtà si depotenzia lasciando crescenti ed incontrollabili spazi di azione ai ceti più forti, all’economia ed alla finanza. In questa situazione la stessa democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, rischia lo svilimento e di essere vissuta da ampi settori della popolazione come impedimento, burocrazia, ma soprattutto di essere incapace a risolvere efficacemente e rapidamente i problemi: sentimento pericolosamente diffuso e primo pericoloso passo consensuale verso inedite forme di democrazia autoritaria.  Il confuso schieramento “riformista” fa ancora troppa fatica a confrontarsi credibilmente con una società frammentata e conflittuale, ma nei grandi numeri sempre più piatta ed uguale; una società di massa lasciata troppo sola ad affrontare un cambiamento così complesso, epocale e globale. Si tratta di ritardi non ancora superati; basta ricordare l’assoluta sottovalutazione della questione ambientale, sostanzialmente negata o rimossa dai sovranisti e che dovrebbe essere l’asse portante di ogni progettualità politica di rinnovamento, fonte per un nuovo umanesimo tanto civile, globale e solidale quanto lontano dalle follie biotecnologiche dei transumanisti.

Abbiamo vissuto gli anni di un poderoso spostamento a destra dell’asse politico, culturale e sociale del paese; un sommovimento che sta agitando anche il campo di centro destra i cui segnali sono le timide differenziazioni di FI o il significativo arroccamento di consensi dalla Lega verso FdI (nei momenti difficili c’è sempre qualcuno più a destra, più sovranista o più di sinistra). L’Italia è un paese ancora sostanzialmente spaccato in due, ma – ribadisco – secondo una logica assai lontana da quella del secolo scorso. In questo contesto, nel teatro della politica, l’elettorato del M5S oggettivamente assume un ruolo fondamentale. Di fatto l’attuale governo è già una coalizione di “centro-sinistra”; dove il centro, non senza confuse pulsioni di destra, è rappresentato da una parte rilevante del M5S (e non solo). La non tenuta politica del movimento o la sua eventuale implosione probabilmente significherebbe un definitivo, pesante spostamento a destra difficilmente recuperabile in tempi brevi o medi. Di contro il Pd ed il variegato mondo “progressista” non hanno vissuto momenti migliori. In particolare, dopo la difficile scelta del Pd di dar vita ad un governo con il M5S è fin qui mancata quella conseguente, forte adesione necessaria a consolidarne la credibilità e le prospettive. La scelta è stata fatta, la responsabilità assunta, ma ciò nonostante il senso prevalente che è emerso dal Pd è stato quello di un rumoroso bisbiglio foriero di una vaga provvisorietà; un atteggiamento incomprensibile rispetto alla gravità dello scontro, ai problemi in campo e alle rappresentanze politiche che siedono in parlamento (quale unità nazione? Con chi? E chi sarebbero i migliori?). Parliamoci chiaro: in questa fase, senza un rapporto stabile, tanto consapevole quanto in alcuni casi anche conflittuale con il diversificato mondo dell’elettorato del M5S l’Italia sarebbe irreversibilmente in mano ad una delle peggiori destre Europee. E’ tuttavia evidente che una parte di questa inedita prospettiva dipenderà anche dalla responsabilità, dalla cultura e dalle difficili scelte che l’attuale gruppo dirigente di un movimento-partito di governo quale è oggi il M5S è chiamato a fare. Scelte di fondo anche per loro; decisioni molto, molto difficili da mettere in campo e poi sostenere.

by MF

(Fonte prevalente dei dati: analisi SWG post voto. Altre fonti differisco di poco nei singoli dati, ma confermano il quadro generale).

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