Tecnologia, globalizzazione: i conflitti quotidiani
I conflitti quotidiani.
La sharing economy non è poesia, ma muove ingenti risorse umane, progettuali e finanziarie. Ha creato lavoro e lavori, ha ricompensato molto bene le idee più brillanti ed ha aiutato tanti giovani a procurarsi redditi altrimenti non disponibili nel mercato classico del lavoro. Inevitabilmente ha anche generato nuovi conflitti sempre più difficilemnte risolvibili se letti all’interno di ottiche antiche, anche perchè ciò che sta avvenendo (nel bene e nel male) porta con se dirompenti novità. Come spunto di riflessione cito alcuni esempi di nuovi conflitti tra i più noti.

Commercio: dal commercio di quartiere alla grande distribuzione e poi … al commercio via Internet; il processo è chiaro ed inarrestabile. Punto. Oggi tutti possono regalare, scambiare, vendere o comprare qualunque cosa utilizzando Internet. Ci sono pagine web per la vendita di ogni cosa, che vendono di tutto, di più e generalmente anche a prezzi migliori della grande distribuzione. Siti che operano a livello globale vuol dire poter scambiare, vendere o comprare di tutto, in tutto il mondo. Siti cinesi per l’elettronica, Amazon ed Ebay praticamente per tutto, siti specializzati per gli immobili, per le auto, per i fiori, per i cibi, per il piccolo artigianato ecc, ecc, ecc. Generalmente –se si ha un minimo di pratica – si tratta di un servizio semplice, sicuro, economico ed efficiente e, non a caso, dai numeri in continua crescita. Ma che vuol dire “se si ha pratica”? Vuol dire alcune cose specifiche e concrete:

 

  • che si sa usare internet,
  • che se ne conosce almeno un minimo la filosofia operativa
  • che si ha qualche nozione sulla sicurezza in rete
  • che si ha chiaro il concetto di “reputazione” sulla rete; concetto che – secondo me – è la cosa più innovativa e dirompente per la valutazione della qualità e sicurezza dei servizi erogati via internet.

 

Le vittime di questo processo sono state ovviamente le piccole attività commerciali, in special modo tutte quelle che (già colpite dalla crisi degli ultimi anni) non hanno potuto o saputo riadattare la propria attività al nuovo contesto (specializzandosi, legandosi al territorio, sfruttando le nuove opportunità, ecc).

Trasporti e servizi: Le biglietterie automatiche nelle stazioni, il telepass in autostrada e le casse automatiche nelle banche sono stati i primi silenti segni della autoamtizzazione di tutta una serie di servizi; ma emblematico è il conflitto UBER – Taxisti. Giustamente i taxisti si preoccupano per la conservazione del loro lavoro anche a causa dei costi esorbitanti delle licenze imposti ancora dai comuni contro ogni ragionevole considerazione sulle prospettive. Si cercano soluzioni transitorie (NewYork, credo anche Milano, ecc) e si continuerà per un pezzo a cercare possibili punti di equilibrio tra gli interessi dei consolidati operatori professionali e le nuove tendenze. Anziché farsi la guerra, alcune aziende di trasporto pubblico puntano già a stringere accordi con Uber e altre realtà di ridesharing per ripensare la mobilità di domani. Un primo esempio arriva direttamente dagli Stati Uniti, dove in Florida la Pinellas Suncoast Transit Authority ha stretto una partnership con Uber e United Taxi per creare un sistema multimodale di trasporto pubblico. Un secondo esempio è rappresentato dall’azienda di trasporto di St. Petersburg che rimborserà gli utenti – fino ad una spesa massima di tre dollari – se inizieranno o termineranno una corsa in taxi o con un auto con noleggio conducente in prossimità di una fermata del trasporto pubblico. Secondo le previsioni, l’azienda punta a risparmiare fino a 100mila dollari pagando le corse degli utenti anziché effettuare servizio in aree dove c’è scarsità di domanda o in orari in cui il costo operativo è molto elevato. Ma tutto corre molto in fretta e nel frattempo l’automezzo intelligente e senza pilota (giudicato impossibile solo nel 2011) sta divenendo una realtà. Entro 10 anni l’auto intelligente sarà una cosa concreta e diffusa soprattutto nei circuiti urbani. Sarà meno costosa, elettrica e più sicura. E le conseguenze? E’ di pochi giorni fa uno studio sul trasporto delle merci con i prossimi camion automatizzati. Quello studio ci dice che entro 2 decenni (per essere tranquillizzanti, ma io credo assai prima) negli Stati Uniti ci sarà un calo di addetti nel settore trasporti di circa 25.000 persone al mese; sicuramente una parte di queste saranno riassorbite nei nuovi canali d’indotto, ma è difficile oggi valutare quante. La stessa UBER (ma anche Google, Tesla, e praticamente ogni grande casa automobilistica) stanno investendo risorse ingenti per la realizzazione del mezzo di trasporto su strada intelligente e per la conseguente conquista di un mercato che si prefigura come di punta e vastissimo.

Home sharing, Home restourant, ecc: Con l’avvento della sharing economy, che poi vuol dire globalizzazione anche del mercato turistico attraverso l’utilizzo dei siti internet e con la necessità sempre più impellente per tantissime famiglie di tutelare il proprio tenore di vita, il fenomeno di mettere a reddito un immobile disponibile (o parte di esso) è divenuto sempre diffuso. Ma non si comprenderebbero fino infondo le ragioni di tale sviluppo se non si tenesse anche conto dei cambiamenti avvenuti in questi anni nei flussi turistici, delle diversificazioni del mercato turistico e delle culture che lo caratterizzano. Settori consistenti del turismo scelgono l’alternativa all’albergo anche per questioni di costi ma soprattutto per una diversa concezione dell’incontro con il territorio visitato. Ed è proprio questo secondo aspetto che caratterizza l’aspetto della sharing economy turistica. Tralasciando il vero e proprio scambio di abitazioni (altra pratica diffusissima ed in continua crescita) che è incontestabile, ci troviamo di fronte comunque ad un fenomeno complesso, segnato da molteplici opportunità e che ben presto si è trasformato in conflitto aperto con la categoria imprenditoriale degli operatori alberghieri (categoria “pesante” ed in grado di farsi ben sentire da una politica sempre sensibile alla affannosa ricerca del consenso più che a leggere i cambiamenti in corso).

Alcune considerazioni finali:

Il nodo è come risolvere questi conflitti amplificando le molteplici opportunità e contenedo le inevitabili distorsioni. Alcune utili indicazioni e linee operative si possono cogliere nella “Agenda europea per l’economia collaborativa”. C’è la questione di una giusta tassazione delle diverse operazioni che generano reddito per i cittadini e soparttutto della tassazione dei profitti ricavati dai siti che gestiscono attività di incontro tra offerta e richiesta. Specialemnte il secondo però è un problema difficilemente risolvibile a livello locale, va affrontato almeno a livello continentale. Se l’Europa consente al suo interno diversi livelli di tassazione è comprensibile che una qualsiasi attività economica si collochi legalmente negli stati con i livelli più bassi di tassazione. C’è poi la questione culturale: la necessità di capire cosa stia realmente avvenendo intorno a noi. UBER è diverso da BlaBlacar; BOOKING è diverso da AIRBNB (che non a caso è nel mirino degli albergatori); AMAZON è diverso da EBAY ed a loro volta sono diversi dai portali per la commercializzazione dei prodotti dell’artigianato 2.00; l’elenco ormai potrebbe essere quasi infinito.

 

Mi sono spesso domandato come mai in Italia le strutture extra alberghiere non professionali non si accreditino rimanendo – in tantissime – nel limbo del contratto inferiore a 30 giorni senza obbligo di registrazione anche sapendo che ci si può accreditare e continuare a gestire l’attività non professionalmente (Non si tratta solo di evasione fiscale perché ormai tutti i pagamenti avvengono per banca). Alla fine la risposta è atavica e semplice: sfiducia nello stato, nella sua “sensibilità” ai richiami delle categorie più forti, nella sua burocrazia, nella sua complessità e nella sua vocazione a vietare e porre intricati vincoli più che aiutare a crescere e far bene le cose. E ciò è tanto più vero se si è costretti ad operare in un regime suddiviso tra competenze dello stato e delle regioni; regime misto fonte di incertezze e permanenti vecchi conflitti. Strutturalmente e culturalemente la sharing economy è insofferente a questo stato di cose perché una ragionevole regolamentazione è cosa diversa dal soffocare ed opprimere, perché la semplicità è fonte di certezze mentre il groviglio normativo produce costi assurdi ed insostenibili per i più, è caos e compressione dei diritti. Purtroppo anche in questo caso l’elenco potrebbe essere assai lungo.

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