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Phil, è il 2050 e stiamo camminando per le strade di Barcellona. Qual è il cambiamento più evidente che possiamo vedere o sperimentare rispetto al 2025?
Venticinque anni possono trasformare completamente una città, specialmente una come Barcellona, già sotto pressione per via del turismo, della migrazione e del clima. Il cambiamento più visibile, a mio avviso, è la scala e la trama dell’espansione urbana. I confini tra i comuni (Barcellona, Badalona, Hospitalet) si sono di fatto dissolti: quello che un tempo era percepito come periferia ora appare come parte integrante della città. La crescita della popolazione, alimentata sia dalla migrazione volontaria che dallo spostamento causato dal clima, ha intensificato la densità, e di conseguenza, la città ha dovuto ripensare la mobilità: ora sono comparsi autobus autonomi e, sebbene i robotaxi volanti su larga scala siano rari (per ora), non sono più fantascienza. La Cina e gli Stati Uniti li hanno introdotti per primi, ma Barcellona, pur adottandoli più lentamente, si sta adattando.Uno dei cambiamenti più significativi ha riguardato lo spazio pubblico. Con la congestione e l’inquinamento atmosferico diventati problemi critici, c’è stato uno sforzo deliberato per riconquistare spazio dalle automobili. Le strade sono state trasformate in corridoi verdi e pedonali. Iniziative simili a quelle di Sant Antoni, dove le corsie del traffico sono state sostituite da piazze e piste ciclabili, si sono diffuse in altri quartieri. Allo stesso tempo, stiamo assistendo a una sorta di negoziazione culturale: con la città che diventa sempre più globale, la spinta a preservare l’identità catalana si è intensificata. Il catalano resta la lingua dominante nella segnaletica pubblica e nell’istruzione, e c’è stato uno sforzo consapevole per valorizzare le tradizioni locali e le forme artistiche. Ma è un gioco di equilibri, poiché le catene globali continuano ad espandere la loro presenza: si vedono ancora Starbucks e altri brand internazionali spuntare qua e là, ma accanto a loro ci sono cooperative, mercati locali e centri culturali che promuovono il patrimonio catalano.
Quali progressi tecnologici hanno avuto il maggiore impatto sulla vita urbana di Barcellona nel 2050?
Se dovessimo identificare uno strato trasformativo direi le tecnologie infrastrutturali, soprattutto i trasporti e i servizi pubblici. Veicoli autonomi, certo, ma anche logistica intelligente, pianificazione urbana basata sui dati e servizi digitali integrati hanno ridefinito il funzionamento della città. C’è stato un enorme salto in avanti nel modo in cui le persone interagiscono con la città: i sistemi di pagamento, la pianificazione degli orari, l’accesso a risorse sanitarie e abitative sono tutti semplificati tramite piattaforme supportate dall’IA. Una delle cose che frustrava maggiormente i nuovi arrivati, soprattutto stranieri, era la complessità burocratica per accedere ai servizi di base, ma anche questo sta lentamente cambiando.L’intelligenza artificiale gioca un ruolo cruciale. Supporta tutto: dall’ottimizzazione del traffico alla risposta alle emergenze, fino alla distribuzione alimentare urbana. Con la densità di popolazione in aumento, infatti, i sistemi devono essere non solo intelligenti, ma anche anticipatori: stiamo quindi iniziando a vedere l’IA incorporata negli strumenti decisionali utilizzati in tempo reale dalle autorità cittadine non solo per rispondere ai problemi, ma anche per prevenirli analizzando per esempio i comportamenti dei cittadini e i livelli di criticità in ambito sanitario o abitativo. Poi c’è il calcolo quantistico: non è ancora integrato nei nostri smartphone, ma inizia a influenzare alcune decisioni a livello macro, come la modellazione di scenari climatici complessi, la simulazione dei flussi migratori o l’ottimizzazione delle catene di approvvigionamento alimentare. La convergenza tra IA e calcolo quantistico, pur essendo ancora agli inizi, sta gettando le basi per una nuova era del policy making: più veloce, più complessa e, probabilmente, più reattiva di quanto abbiamo mai visto prima.
Parliamo di lavoro: come si è evoluto il panorama professionale a Barcellona?
Barcellona ha sempre avuto un certo fascino creativo e bohémien, ma si è evoluta anche in un vero e proprio hub tecnologico e dell’innovazione. Negli ultimi decenni, la città ha attratto lavoratori da remoto, startup e multinazionali: è diventata insomma ciò che San Francisco era all’inizio degli anni 2000, un mix desiderabile di stile di vita e opportunità. Detto questo, una simile trasformazione non è avvenuta senza attriti: come a San Francisco, l’afflusso di ricchezza ha fatto aumentare i prezzi degli alloggi e ha creato tensioni tra le imprese catalane tradizionali e i nuovi arrivati internazionali. I responsabili politici locali stanno cercando di gestire la gentrificazione e proteggere l’integrità culturale, ma le pressioni economiche sono enormi.Il lavoro da remoto non è scomparso, anzi, è maturato. I modelli ibridi sono la norma, con molte aziende internazionali che mantengono hub satellitari qui. Questo ha permesso a persone da tutto il mondo di stabilirsi a Barcellona, sfumando sempre di più il confine fra turista e residente. Un simile afflusso porta con sé anche delle sfide: pressione sui servizi, aumento dei costi e sì, anche un incremento di problemi sociali come l’uso di droghe, che tende a seguire in modo correlato la crescita urbana rapida. Eppure, Barcellona rimane una destinazione attraente. Non si tratta più solo di lavoro, ma di stile di vita: le persone vengono qui per vivere pienamente, lavorando da remoto, partecipando ad eventi comunitari, godendo della vita culturale. La sfida è mantenere questo equilibrio in modo sostenibile.
Con un afflusso così diversificato di persone, come ha fatto Barcellona a mantenere un’adeguata coesione sociale?
La coesione sociale è probabilmente una delle dinamiche più complesse in gioco. Storicamente c’è sempre stata tensione tra la Catalogna e lo Stato spagnolo, ma ora in questo attrito si sono inserite molte nuove identità: nomadi digitali, rifugiati climatici, migranti economici da tutto il mondo. La città ha cercato di rimanere inclusiva, ma è una lotta continua. Le proteste per l’indipendenza catalana si sono placate, ma l’ansia culturale di fondo non è scomparsa: ora è aggravata dalla paura di perdere il controllo su alloggi, lingua e spazi pubblici.Al netto di questo, stanno emergendo comunque segnali positivi. La preservazione linguistica è forte (il catalano è ancora insegnato e ampiamente utilizzato) e c’è un investimento visibile nell’educazione culturale e nei programmi di inclusione delle diverse comunità. Alcuni quartieri stanno dando buoni esempi di urbanismo inclusivo, con co-housing, scuole multilingue e spazi civici integrati, mentre altri lottano ancora con segregazione e tensioni. Non direi che la tensione scomparirà, ma Barcellona ha dimostrato capacità di resilienza: se questa proseguirà, dipenderà da quanto rapidamente ed equamente la città adatterà le sue politiche sull’inclusione.
Parliamo di cultura. Quali sono le espressioni culturali dominanti nel 2050? E come le persone si relazionano oggi all’intrattenimento e all’arte?
Barcellona è rimasta una potenza culturale. Il panorama dei festival è più vario che mai: Sonar, Primavera Sound, Mobile World Congress e decine di nuovi festival di nicchia uniscono tutto, dalla tecnologia al benessere, fino alle arti locali.La tecnologia è oggi infusa profondamente nelle arti: le esperienze immersive, soprattutto quelle che combinano VR, AR e olografia, sono comuni. Non sono più gimmick, ma fanno parte del modo in cui si raccontano storie, si condividono memorie e si vivono le emozioni. Prendi le performance olografiche, per esempio: un tempo erano una novità, ora sono un mezzo molto diffuso, soprattutto per mostre e performance interattive. C’è anche molta sperimentazione con l’arte generata da IA: alcuni la vedono come una minaccia, altri come una nuova tela. In ogni caso, è qui per restare.Ma ciò che colpisce davvero è come culture locali e globali si siano fuse. Potresti assistere a un concerto di musicisti jazz generati da IA, seguito da un mercato gastronomico dedicato alla cucina dell’Africa occidentale, il tutto nello stesso evento. È disordinato, stratificato, a volte controverso, ma vibrante.
Come sta rispondendo Barcellona al cambiamento climatico, dato in particolare la vulnerabilità del Mediterraneo?
Il clima ha costretto la città a prendere posizione in molti modi. La scarsità d’acqua è diventata un problema centrale, spingendo verso politiche di conservazione più rigide e investimenti in nuove tecnologie come la desalinizzazione e forse anche il cloud seeding. I sistemi alimentari sono un’altra priorità: l’agricoltura mediterranea è sotto pressione poiché l’aumento delle temperature colpisce tutto, dalla resa degli ulivi alla qualità del vino. La città sta investendo in agricoltura urbana, vertical farming e reti alimentari localizzate per aumentare la resilienza. Ci sono anche più regolamenti sulle importazioni alimentari e sulla preservazione della biodiversità.Più persone ovviamente significa anche più consumo, e questo accelera il degrado ambientale. Quindi accanto all’adattamento climatico, c’è un’enfasi crescente sulle economie circolari, con codici edilizi sostenibili e infrastrutture pubbliche verdi. Non è un sistema perfetto: c’è ancora tensione tra sviluppo economico e responsabilità ecologica, ma il discorso sul clima non è più marginale, è ormai centrale nel modo in cui la città definisce il proprio futuro.
Torniamo al 2025: quale consiglio daresti ai decisori di oggi per contribuire a costruire un 2050 migliore per Barcellona?
Per prima cosa riconoscere che l’immigrazione, soprattutto quella legata al clima, non sarà temporanea: è un fenomeno strutturale. Le politiche sul turismo sono importanti, sì, ma sarà la migrazione a modellare la città in modo più profondo nei decenni a venire. Barcellona deve progettare su larga scala: più alloggi, infrastrutture più intelligenti, sistemi di smaltimento più efficaci e servizi sociali più solidi. Significa anche anticipare la pressione su cibo e acqua e ripensare la mobilità non solo in termini di strade e treni, ma dell’intero ecosistema dei trasporti in modo accessibile ed equo.È importante che la città abbracci le tecnologie emergenti non come semplici gadget, ma come strumenti strategici. L’IA e il calcolo quantistico saranno fondamentali per progettare sistemi reattivi e pronti al futuro: Barcellona ha il potenziale per diventare una città modello, ma solo se pianifica in modo proattivo e inclusivo.
Come vedi evolversi la pratica del futures thinking, soprattutto in Europa?
L’Europa è avanti rispetto agli Stati Uniti in molti aspetti, soprattutto nel settore pubblico: c’è molta più apertura al pensiero di lungo termine. Detto questo, molte aziende vedono ancora il foresight come un “nice to have,” non una funzione essenziale, anche se questo sta iniziando a cambiare.L’IA accelererà questa evoluzione: portando una logica quantificabile e testabile negli scenari, aiuta a validare il processo decisionale. Non è più mera speculazione: l’IA può eseguire modelli, testare variabili e iterare in tempo reale. È una svolta, ma dobbiamo ancora umanizzare il futures thinking: le persone non investono in una strategia solo per via dei dati. Investono perché credono in un futuro, ed è qui che entrano in gioco narrazione, immersione ed empatia.
Come sta influenzando l’IA le metodologie di futures thinking?
L’IA ci aiuta a rilevare segnali deboli, anomalie e interruzioni più rapidamente e con maggiore precisione. È la differenza, enorme, tra reagire al cambiamento e anticiparlo. Immagina un sistema che ti dica: “C’è l’88% di probabilità che il tuo modello di business sarà obsoleto entro due anni a causa di un concorrente che ancora non conosci.” Non è solo utile: è vitale per la sopravvivenza. I sistemi di IA potranno anche supportare l’aggiornamento continuo degli scenari e le correzioni di rotta. Non si tratta solo di generare idee, ma di aggiornare le strategie in tempo reale, in base agli input in evoluzione. Questo è il vero, grande potere.
Quali innovazioni o pratiche sperimentali ritieni più promettenti?
Uno dei miei esperimenti attuali riguarda il rendere credibili gli scenari. Troppo spesso il foresight è astratto: dipingiamo futuri, ma restano sulla parete. Ho iniziato a usare simulazioni dal vivo, quello che chiamo “provocazioni immersive”. Recentemente, ho tenuto un workshop in cui i partecipanti ricevevano un finto NDA governativo su un’emergenza migratoria, che dava loro l’impressione di far parte di una task force speciale. Questo ha cambiato completamente la loro mentalità: non stavano solo discutendo di scenari, li stavano vivendo. È questo ciò di cui abbiamo bisogno: metodi che muovano le persone emotivamente e intellettualmente. Finché le persone non credono che un certo futuro potrà diventare reale, non agiranno di conseguenza. Immergersi è fondamentale.
Un’ultima domanda: come possiamo promuovere più ampiamente la futures literacy?
Per prima cosa, abbandoniamo il gergo di settore e rendiamo il foresight davvero accessibile. Usiamo un linguaggio che le persone possano riconoscere, e inquadriamolo attraverso analogie, esperienze e valori che contano per loro.Secondo, colmiamo il divario tra visione e azione. Non basta parlare del futuro, dobbiamo mappare i passi per arrivarci. Il futures thinking deve includere sempre una strategia di transizione: è lì che le persone si sentono coinvolte, quando vedono come le scelte di oggi influenzano i risultati di domani.E infine, ricordiamoci: non stiamo vendendo fantasie. Stiamo costruendo strumenti per prendere decisioni migliori. È questa la mentalità che dobbiamo diffondere.
*HABITAT è una società di consulenza e formazione sul futures thinking e lo speculative design, focalizzata sull’esplorazione dei futuri dell’umanità attraverso esperienze immersive e foresight critico. Lo studio lavora all’intersezione tra design, cultura e tecnologie emergenti per aiutare le organizzazioni a navigare nella complessità e immaginare futuri urbani e sociali alternativi: attraverso workshop, mostre e simulazioni basate su scenari, HABITAT trasforma il foresight in narrazione tangibile e d’impatto.